Può esistere una correlazione tra la diffusione dell’infezione da SARS-CoV2 e le aree ad elevato livello di inquinamento atmosferico?
Premesso che si tratta di una infezione virale sottoposta a meccanismi di trasmissione sicuramente diversi da quelli generalmente studiati nel settore dell’inquinamento atmosferico, in Italia l’ipotesi di un’associazione è stata avanzata in virtù del fatto che aree come la Lombardia, il Veneto e l’Emilia Romagna, dove il virus ha presentato la maggiore diffusione, fanno registrare generalmente le maggiori concentrazioni degli inquinanti atmosferici misurati e controllati secondo quanto indicato e prescritto dalla legislazione di settore (DLgs 155/2010).
Tuttavia, se è vero che la diffusione del virus si è presentata attraverso focolai circoscritti all’interno di zone della Pianura Padana sottoposte a valori di inquinamento atmosferico elevati e piuttosto omogenei, è anche vero che altre aree a forte inquinamento atmosferico, anche se prossime, sono rimaste inizialmente escluse e interessate, solo successivamente, con minor forza dalla contaminazione del virus.
Si osserva inoltre, che a seguito delle disposizioni governative, la ridotta mobilità delle persone e la chiusura di molte attività produttive hanno portato ad una progressiva e significativa riduzione dei livelli di inquinamento dell’aria (PM10, PM2,5, NO2, benzene). Va infine notato che le aree dove il virus ha evidenziato il suo più elevato impatto, sono le aree sia ad elevata densità di popolazione sia a più alta produttività del Paese.
In sintesi, la complessità del fenomeno, insieme alla parziale conoscenza di alcuni fattori che possono giocare o aver giocato un ruolo nella trasmissione e diffusione dell’infezione SARS-CoV2, rendono al momento molto incerta una valutazione di associazione diretta tra elevati livelli di inquinamento atmosferico e la diffusione dell’epidemia COVID-19, o del suo ruolo di amplificazione dell’infezione.