Secondo i Centers for Disease Control and Prevention statunitensi, il 60% di tutte le malattie infettive e il 75% di quelle emergenti è di origine zoonotica: significa che ha origine negli animali e, in più, non è possibile prevedere il momento in cui sarà trasmessa all’uomo. Quando però succede gli interventi messi in campo sono tutti di tipo reattivo. Si mette cioè una costosa pezza su una situazione di emergenza, ma spesso la diffusione virale è ormai fuori controllo, come abbiamo visto per l’attuale pandemia di covid.
I progressi nell’editing genetico e una migliore comprensione di come si diffondono i virus hanno accelerato l’ipotesi, già avanzata negli anni ’80, di creare virus attenuati, geneticamente modificati, capaci di diffondersi tra gli animali e sollecitare un’immunità all’infezione anziché la malattia vera e propria. Prevenendo i contagi direttamente negli animali si ridurrebbe la probabilità che i loro virus giungano all’uomo.
Attualmente sono allo studio vaccini contagiosi contro Ebola, la tubercolosi bovina e la febbre di Lassa, una malattia emorragica virale che ha origine nei ratti e che è responsabile ogni anno di circa 300.000 contagi umani in Africa occidentale. Ma vaccini di questo tipo potrebbero arrestare sul nascere altre malattie zoonotiche, come la peste (trasmessa dal morso delle pulci infettate dai ratti), la febbre nel Nilo occidentale (presente negli uccelli selvatici e diffusa dalle zanzare), la malattia di Lyme (trasmessa dalle zecche), la rabbia (in genere trasmessa dai pipistrelli).
Nel corso di uno studio, poi pubblicato su PNAS, un gruppo di ricercatori dell’Università dell’Idaho ha usato modelli matematici e dati su precedenti studi per indagare l’utilità di vaccini trasmissibili nell’eliminare i patogeni nelle popolazioni animali, prima che possano avvenire salti di specie. Vaccini che utilizzino come vettori virus della stessa famiglia dell’herpes, come quelli attualmente allo studio contro molti patogeni umani, potrebbero riuscire a controllare rapidamente la diffusione di malattie direttamente nelle riserve animali, si legge nell’articolo.
Come spiega un articolo a tema sul sito di National Geographic, i vaccini contagiosi attualmente allo studio per gli animali utilizzano come vettore il citomegalovirus (CMV), un virus appartenente alla famiglia degli Herpesvirus, che una volta contratto rimane nell’organismo per tutta la vita, induce una forte risposta immunitaria e quasi mai una malattia grave. Inoltre, questi virus sono diversi da specie a specie, e usarli come vettori riduce il rischio di un eventuale passaggio del vaccino a una specie animale da non vaccinare.
Somministrati direttamente agli animali tramite iniezioni, i vaccini contro Ebola e tubercolosi bovina che usano questo tipo di vettore risultano altamente efficaci. Ma non è possibile effettuare una prevenzione su larga scala vaccinando gli animali uno a uno. Teoricamente, secondo lo studio su PNAS, un vaccino trasmissibile contro la febbre Lassa ridurrebbe i contagi nelle popolazioni di roditori del 95% entro un anno. Finora sono stati effettuati però soltanto esperimenti in laboratorio, che non testano l’efficacia di questi vaccini sul campo né la sicurezza di un loro eventuale rilascio.
I virus sono organismi geneticamente instabili e soggetti a frequenti mutazioni. Un vaccino che si autodiffonda potrebbe evolvere la capacità di saltare ad altre specie, incluso l’uomo, con conseguenze persino più dannose della malattia che si voleva debellare. Inoltre, liberare del tutto gli animali dai virus che li assillano significa eliminare uno strumento naturale di contenimento delle loro popolazioni.