Un nuovo studio pubblicato sulla rivista Science Advances identifica aree ad altissimo rischio di malattie zoonotiche con potenziale epidemico o pandemico, collegando in modo sistematico cambiamenti ambientali, climatici e antropici.
Gli autori mostrano che circa il 9,3% della superficie terrestre è oggi esposta a un rischio “alto” o “molto alto” di fuoriuscite di malattie da animali all’uomo, con grandissima concentrazione in America Latina e Oceania.
Tra i principali fattori esplicativi vi sono temperatura elevata, precipitazioni intense, deficit idrici moderati, alta densità di popolazione e bestiame, prossimità tra insediamenti umani e foreste, e perdita di biodiversità.
Lo studio, con l’ausilio di modelli di apprendimento automatico, ha prodotto anche un indice di rischio epidemico nazionale che combina rischio stimato e capacità di risposta sanitaria: fra i paesi più vulnerabili spiccano Papua Nuova Guinea e la Repubblica del Congo.
Gli autori sottolineano che le strategie di prevenzione devono integrare azioni ambientali (come gestione sostenibile del territorio e delle foreste) con potenziamento delle infrastrutture sanitarie e controllo delle pressioni antropiche.
Se da un lato la ricerca offre strumenti avanzati di previsione spaziale, dall’altro alcuni esperti avvertono che la complessità dei fenomeni e la mancanza di dati dettagliati in certe regioni rendono difficile una “mappa uniforme” del rischio. Con il cambiamento climatico che si intensifica e la trasformazione del paesaggio umano-selvatico che accelera, lo studio indica chiaramente che i rischi sanitari futuri non sono solo una questione di virus, ma anche di gestione del territorio e dei modelli insediativi.



