
Uno studio recente pubblicato su PLOS Medicine ha trovato nuovi modi per misurare quanto mangiamo alimenti ultra-processati, come snack confezionati e cibi pronti.
Analizzando sostanze chimiche presenti nel sangue e nelle urine, i ricercatori sono riusciti a creare un “punteggio” che indica in modo preciso quanto di questi cibi si consumano, senza dover affidarsi solo ai questionari o alle dichiarazioni delle persone.
Questo metodo potrebbe aiutare a capire meglio l’impatto degli alimenti ultra-processati sulla nostra salute e a migliorare la prevenzione di malattie come diabete e problemi cardiaci.
Il metodo è descritto su Focus: “Erikka Loftfield, epidemiologa dello US National Cancer Institute di Rockville, nel Maryland (Stati Uniti), ha analizzato i campioni di sangue e urina di 718 adulti in salute tra i 50 e i 74 anni per individuare il punteggio di polimetaboliti, ossia la “firma chimica”, collegata al consumo di ultraprocessati. I partecipanti avevano dovuto fornire campioni di sangue e urina due volte a distanza di sei mesi e riferire, in sei occasioni durante un anno, per filo e per segno che cosa avessero mangiato il giorno precedente”. Dapprima gli scienziati hanno usato il machine learning per attribuire a ciascun partecipante un punteggio che indicasse quanta parte dell’apporto energetico giornaliero derivasse da cibi ultraprocessati, cioè alimenti ottenuti con tecniche e ingredienti difficilmente replicabili fuori dall’ambito industriale. In media, derivava dagli ultraprocessati la metà delle calorie quotidiane assunte da ciascuno, con ampie differenze tra un estremo all’altro (per qualcuno l’apporto era del 12% e per altri dell’82%). Chi consumava più ultraprocessati tendeva a ricavare buona parte della sua energia da carboidrati, zuccheri e grassi e meno da proteine o fibre, come invece avveniva per chi mangiava più sano.