Nel 2010, quando ancora nessuno si aspettava che una pandemia avrebbe schiacciato le economie del mondo fino quasi a bloccarle, i rappresentanti di 196 Paesi si sono incontrati a Nagoya, in Giappone, per affrontare un diverso tipo di crisi planetaria, indissolubilmente legata sia al cambiamento climatico che alla salute dell’uomo.
La Convenzione sulla diversità biologica (CBD, dall’inglese Convention on Biological Diversity) delle Nazioni Unite, ratificata da tutti i Paesi membri tranne gli Stati Uniti, ha identificato 20 obiettivi per porre un freno alla crescente perdita di biodiversità. Con la pubblicazione di un’importante relazione è stato emesso il verdetto finale su come i governi del mondo abbiano affrontato questa sfida.
La cattiva notizia è che abbiamo fallito. Nessuno dei 20 obiettivi è stato pienamente raggiunto, e solo sei sono stati raggiunti parzialmente, così il report è rimasto solo un altro promemoria dell’urgente bisogno di riconfigurare il modo in cui produciamo, utilizziamo e commercializziamo i beni di consumo. Ma sparsi tra le 220 pagine del documento — una sintesi di evidenze scientifiche, altre valutazioni dell’ONU e relazioni nazionali dei vari Paesi – ci sono barlumi di progresso che dimostrano che la natura effettivamente si riprende, quando vengono messe in atto le misure necessarie. Se riusciamo ad amplificare esponenzialmente le azioni di tutela, c’è ancora speranza per un futuro in cui l’umanità possa vivere in armonia con la natura.
All’inizio di Settembre 2020 il report Pianeta vivente del WWF del 2020 ha stimato che a livello globale le popolazioni di quasi 21.000 specie di mammiferi, pesci, uccelli, rettili e anfibi si sono ridotte del 68% di media, tra il 1970 e il 2016.
Finché l’umanità dedicherà più risorse alla distruzione della biodiversità piuttosto che alla sua protezione, la capacità degli ecosistemi di fornire tutti gli elementi necessari, dagli insetti impollinatori all’acqua pulita, ai terreni fertili, si deteriorerà. Se continueremo a portare avanti le attività commerciali come al solito, questo potrebbe costare all’economia mondiale qualcosa come 10 trilioni di dollari entro il 2050, e i Paesi più poveri subiranno il colpo peggiore, afferma il report. E più interferiamo con gli habitat naturali, più è probabile che virus che prima rimanevano isolati e che potenzialmente possono causare pandemie, passino dagli animali all’uomo.