Ogni giorno la “fabbrica del tempo”, così la chiamano da queste parti, digerisce 800 milioni di osservazioni in arrivo da satelliti, boe marine, aerei, navi, palloni sonda e sensori vari per scattare la fotografia più precisa possibile delle condizioni meteo sul pianeta. Ne scarta il 90% e, grazie a un modello matematico composto da milioni di linee di codice, arriva a comporre fino a 3mila carte diverse con previsioni a corto, medio e lungo termine sull’andamento della temperatura, la probabilità degli incendi, la possibilità di precipitazioni o l’andamento dell’ozono.
Dati che poi finiscono, tra l’altro, nelle app di meteo presenti su tutti i nostri smartphone.
Dall’ottobre scorso, sotto le volte dell’ex Manifattura Tabacchi di Bologna, progettate da Pier Luigi Nervi, ha trovato casa ed è pienamente operativo il Centro Meteo, più esattamente “European centre for medium-range weather forecasts – Ecmwf”, il Centro europeo per le previsioni meteo a medio termine, che per la sua parte produttiva ha definitivamente lasciato la sede inglese di Reading, diventata troppo piccola per le esigenze crescenti dell’ente.
Il suo Atos Sequana, un supercomputer da oltre 8mila nodi di calcolo costato 80 milioni di euro e realizzato su misura, è il vicino di casa di Leonardo, l’altro supercomputer gestito dal Consorzio interuniversitario Cineca e ospitato sotto le stesse volte, inaugurato a novembre dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Leonardo è al quarto posto tra i computer più potenti al mondo e assieme a quello del Centro meteo costituisce di fatto il nuovo cuore (anzi, il cervello) della “Data Valley” emiliana, un distretto di studio ed elaborazione sui big data che secondo le istituzioni locali concentra qui, fra il Tecnopolo alla periferia del capoluogo e la sede Cineca a Casalecchio, l’80% della capacità di calcolo italiana e il 20% di quella europea.
Bologna è diventata la sede della “fabbrica del tempo”, come la chiama Matteo Dell’Acqua, direttore del Centro dati locale, dopo che la sede madre di Reading nel maggio 2015 ha chiesto ai 23 Paesi membri dell’Ecmwf chi fosse disponibile a ospitare per i prossimi trent’anni il data center dell’ente, che aveva bisogno di più spazio. Si erano candidate Exeter e Slough, in Inghilterra, più Bologna, il Lussemburgo, Espoo in Finlandia e Akureyri in Islanda, ma è stato il progetto italiano presentato dal governo e dalla Regione Emilia-Romagna a convincere il consiglio chiamato a valutare le proposte, per una serie di punti a favore: la posizione logistica di Bologna, facilmente raggiungibile, la disponibilità di connessioni elettriche adatte e la presenza della rete in fibra ottica della società regionale Lepida, con una capacità di oltre 60 Gbps e in costante aumento. Giocano a favore di Bologna anche la vicinanza del Cineca, istituzione nazionale di High Performance Computing (Hpc) e uno dei grandi centri di calcolo europei, e di altri istituti di ricerca come l’Infn, l’Istituto nazionale di fisica nucleare.
Per i tecnici: Leonardo ha una potenza computazionale di quasi 250 PetaFlops e può contare su oltre 100 PB di capacità di archivio. Può eseguire 250 milioni di miliardi di operazioni al secondo, è costato 240 milioni di euro (compresi data e costi di esercizio) e fornisce capacità di calcolo dieci volte superiore al precedente supercomputer di Cineca, Marconi 100, ospitato poco lontano nella sede di Casalecchio di Reno.