
Secondo la ricerca del progetto ATTER dell’Unione Europea, dare priorità alle “transizioni agroecologiche” vuol dire ripensare l’intero sistema alimentare — produzione, trasformazione, distribuzione e consumo — puntando su equità, resilienza e sostenibilità.
L’agroecologia attinge dai principi ecologici e sociali dell’agricoltura contadina tradizionale, lavora con la natura (biodiversità, suoli sani, cicli nutrienti) e mira a rafforzare la giustizia fra gli attori della filiera alimentare.
Nel contesto italiano, il progetto ha incluso tre casi studio — ambienti rurali e urbani — per verificare come le reti alimentari locali, le filiere corte e gli acquisti pubblici sostenibili possano favorire sovranità alimentare, riduzione dell’impatto ambientale e supporto ai piccoli agricoltori.
I risultati suggeriscono che la scala territoriale — cioè sistemi alimentari radicati in specifiche aree geografiche e culturali — è particolarmente adatta per attuare pratiche agroecologiche reali.
Tra le leve fondamentali identificate: progettazione partecipativa (coinvolgendo agricoltori, consumatori, autorità locali), innovazione sociale, adattamento alle condizioni locali e politiche pubbliche di supporto mirate.
In Italia, questo significa ad esempio valorizzare produzioni tipiche locali, promuovere mercati contadini, ridurre dipendenza da filiere globali e favorire la diffusione di pratiche come la rotazione delle colture, l’agro-forestry e la gestione del suolo secondo criteri naturali.
Il messaggio centrale della ricerca è che la trasformazione non può essere solo tecnologica: serve un cambiamento sistemico e culturale del modo in cui concepiamo “cibo”, agricoltura e relazioni tra città e campagne.
Le raccomandazioni politiche includono l’integrazione dell’agroecologia nelle politiche agricole nazionali e regionali, incentivi per gli agricoltori che adottano modelli sostenibili, e la promozione di infrastrutture locali per trasformazione e distribuzione.
In sintesi, per l’Italia e l’Europa la sfida non è solo produrre “di più” ma produrre “meglio”, mantenendo la fertilità del suolo, tutelando la biodiversità e garantendo accesso al cibo sano per tutti.