È in discussione tra le istituzioni intergovernative e le autorità internazionali di controllo delle malattie un divieto mondiale al commercio di specie selvatiche.
Il traffico intenso di animali, soprattutto quello per uso alimentare, risulta infatti un fattore determinante tanto alla nascita e quanto alla diffusione di malattie infettive nuove o emergenti.
Basti pensare che tra il 1940 e il 2004, sono state registrate più di 335 patologie infettive prima sconosciute, con più di 50 focolai solo nel decennio a cavallo tra il ventesimo e il ventunesimo secolo. Di qui una serie di pericolose implicazioni sia per la salute pubblica che per la stabilità economica.
Christian Walzer, direttore esecutivo del dipartimento Salute presso la Wildlife Conservation Society ritiene che “l’uso commerciale della fauna selvatica per il consumo che comprende sia il commercio legale che quello illegale è scarsamente regolamentato con confini labili tra le due entità”. “Tale commercio, in particolare di animali vivi – spiega lo studioso – crea interfacce lungo la catena del valore alimentare, mescolando specie provenienti da diverse aree geografiche e habitat diversi, creando al contempo condizioni perfette per lo scambio e la ricombinazione dei virus”. Walzer raccomanda quindi di ridurre il rischio con misure che includano campagne di marketing sociale per ridurre la domanda di animali selvatici come cibo e fornire, nelle aree geografiche dove si consumano tali esemplari, fonti alternative di proteine.“