e dopo più di quattro settimane dall’infezione da SARS-CoV-2, nonostante la negativizzazione del test, alcuni sintomi persistono, si parla di Long COVID.
Questa condizione, che preclude un pieno ritorno al precedente stato di salute, può colpire, secondo uno studio pubblicato su Nature Medicine, fino ad una persona su due, potendo lasciare strascichi anche a distanza di mesi. Nonostante il vasto impatto sulla popolazione, e sebbene sia stata riconosciuta come una entità clinica specifica, le conoscenze sul Long COVID sono tuttora scarse e oggetto di numerose indagini.
Tra i sintomi più frequenti viene riportata la stanchezza e, in aggiunta a questa, la “nebbia mentale”, ovvero problemi di memoria e difficoltà a concentrarsi, ma anche la perdita dell’olfatto e del gusto.
Le manifestazioni cliniche del Long COVID sono eterogenee ed una persona affetta da questa malattia può presentare uno o più dei seguenti sintomi o condizioni:
- Respiratorie: dispnea, tosse persistente e diminuzione della capacità di espansione della gabbia toracica;
- Cardiovascolari: senso di oppressione e dolore al petto, tachicardia e palpitazioni al minimo sforzo, aritmie e variazione della pressione arteriosa;
- Neurologiche: cefalea che può insorgere come sintomo nuovo oppure come peggioramento di sintomatologia preesistente: gli attacchi possono essere più frequenti o il dolore può durare più a lungo del solito; deterioramento cognitivo, che si manifesta con difficoltà di concentrazione e attenzione, problemi di memoria, difficoltà nelle funzioni esecutive (soprattutto in chi è anziano e/o già con deficit cognitivi); neuropatie periferiche e disautonomia, ovvero il malfunzionamento del sistema nervoso autonomo o vegetativo che controlla le funzioni corporee involontarie;
- Modifiche dell’udito, dell’olfatto, del gusto: disturbi di olfatto, quali iposmia o parosmia, disfunzioni della deglutizione e del gusto (il cibo può avere un sapore insipido, salato, dolce o metallico), acufeni, otalgia, disfonia e mal di gola (fastidi come dolore, tosse irritabile, sensazione di ristagno di muco nella gola e sentire il bisogno di schiarirsi la gola);
- Gastrointestinali: perdita di appetito, nausea, vomito, dolori addominali, diarrea, dispepsia, reflusso gastroesofageo, eruttazione, distensione addominale. Attualmente diversi studi stanno valutando le conseguenze a lungo termine di COVID-19 a livello gastrointestinale compresa la sindrome del colon irritabile post-infettivo;
- Dermatologiche: la manifestazione cutanea più comune è l’eritema pernio (volgarmente detto “gelone”), seguita dalle eruzioni papulo-squamose (ossia caratterizzate da rossori, gonfiori e bolle squamose) e dai rash. Altre conseguenze possono essere l’alopecia, con durata tuttavia inferiore a sei mesi. Riguardo alle patologie immunomediate con manifestazioni dermatologiche, sono stati descritti casi di riacutizzazione di psoriasi e comparsa di forme latenti;
- Ematologiche: è stato osservato soprattutto lo sviluppo della malattia tromboembolica venosa in fase post-acuta di COVID-19;
- Endocrinologiche: chetoacidosi diabetica di nuova insorgenza (senza una diagnosi precedente di diabete mellito) e tiroidite;
- Psicologiche/psichiatriche: sonno poco riposante e non ristoratore, malessere cronico, depressione del tono dell’umore (sentirsi triste, irritabile e insofferente verso gli altri, perdere interesse in attività che prima piacevano, trovare difficile prendere decisioni, avere pensieri negativi), ansia, delirium e psicosi. La distanza sociale obbligatoria ha senz’altro acuito tali disturbi. Alcuni pazienti possono presentare sintomi collegati a disturbo da stress post traumatico.
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