Giornata storica il 13 maggio: Vittoria Brambilla e Fabio Fornara di Unimi (Università di Milano) hanno messo a dimora le prime piantine di riso geneticamente editate TEA (tecniche CRISPR di evoluzione assistita) per resistere a parassiti come il brusone senza usare fitofarmaci, nella campagna pavese di Mezzana Bigli. Si tratta di una sperimentazione, ma in campo aperto, il primo consentito in Italia. Il permesso è fino a fine anno, ma prorogabile in attesa delle nuove regole europee.
La rete delimita ventotto metri quadrati di nudo terreno, in mezzo alla campagna pavese. Al suo interno si muove una decina di ricercatrici e ricercatori dell’Università di Milano. Il computer portatile appoggiato a terra mostra lo schema delle parcelle. Un metro viene srotolato per segnare le coordinate sulle zolle. Le targhette gialle da conficcare nel suolo sono pronte: la scritta TEA (tecniche di evoluzione assistita) serve a segnalare le piante di riso geneticamente editato nella speranza di renderlo più resistente a una malattia fungina (il brusone), mentre la sigla WT indica le wild-type, che non sono state modificate e servono come gruppo di controllo. Eccole lì, duecento di un tipo più duecento dell’altro, finora erano cresciute al sicuro dentro a una cella climatizzata ed è finalmente arrivato il momento di trasferirle all’aperto.
La regolamentazione europea sulle Nuove Tecniche Genomiche non è stata ancora adottata in via definitiva: dopo l’approvazione in plenaria a Strasburgo il 7 febbraio di quest’anno, nella prossima legislatura dovrà riprendere la triangolazione tra Parlamento, Consiglio e Commissione dell’UE. Perciò le vecchie regole che disciplinano i rilasci sperimentali di OGM continuano a valere anche per le piante che non contengono geni estranei e presentano solo qualche correzione puntiforme, che con molta fortuna avrebbe potuto verificarsi in natura per mutagenesi spontanea. Dunque anche per il riso di Brambilla e Fornara, che presenta tre geni disattivati (Pi21, HMA1 e HMA2) grazie all’impiego delle forbici genetiche CRISPR e nessun transgene.
Per vent’anni nessun gruppo di ricerca aveva osato chiedere l’autorizzazione per sperimentare in condizioni realistiche (dunque in campo) le piante modificate in laboratorio e cresciute in serra (l’ultima domanda relativa a un OGM risale al 2004 e fu respinta). Nel frattempo la tecnologia si è evoluta e un numero crescente di attori politici, economici e sociali ha ammorbidito la propria opposizione all’innovazione genetica, almeno nei casi in cui non sono coinvolti transgeni. È così che un comma inserito nel decreto siccità un anno fa ha riconosciuto l’importanza di preparare l’agricoltura italiana alla sfida dei cambiamenti climatici anche con l’aiuto delle nuove biotecnologie, aprendo uno spiraglio e sbloccando l’impasse delle autorizzazioni. Presentare una notifica comunque resta un impegno notevole, per la mole di dati da presentare al Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, allo scopo di dimostrare che anche i rischi più remoti per flora, fauna, microrganismi target e non target sono virtualmente azzerati.
Come si legge sul sito dei Georgofili “La generale stima verso Vittoria Brambilla e Fabio Fornara -i due professori dell’Università di Milano coinvolti nell’attività di ricerca di cui parliamo- nasce proprio da qui, dalla loro volontà di provare un utile strumento, le TEA, per ottenere piante di riso che, con piccole modifiche nella struttura del suo DNA, divengono capaci di resistere al brusone, malattia necrotossica causata dal fungo Pyricularia oryzae e in grado di ridurre la produzione del riso anche oltre il 50%. Con questa metodologia Brambilla e Fornara hanno modificato un allele del riso -che conferisce resistenza durevole al brusone- senza cambiare la qualità della granella e lo hanno fatto in un modo che sarebbe potuto avvenire anche naturalmente. Tutta la comunità scientifica ha esultato per il raggiungimento di questo traguardo anche in virtù della forte riduzione di principi attivi antiparassitari che comporta. Vale forse la pena di ricordare che il riso “made in Italy” è, a livello mondiale, un prodotto di alta qualità“.
A questa interessante notizia, ne segue però subito un’altra, pubblicata su Il Post “Nella notte tra il 20 e il 21 giugno a Mezzana Bigli, in provincia di Pavia, è stata distrutta una piccola coltivazione sperimentale di riso curata da un gruppo di ricerca dell’Università Statale di Milano. Lo scorso 13 maggio il campo era stato seminato con una varietà di riso sviluppata dai ricercatori con le “tecniche di evoluzione assistita in agricoltura” (TEA), metodi per modificare il DNA degli organismi vegetali diversi rispetto a quelli usati per i cosiddetti “organismi geneticamente modificati” (OGM). Questa varietà, chiamata RIS8imo, è stata studiata per essere più resistente al brusone (Pyricularia oryzae), un fungo molto dannoso per le coltivazioni di riso”.
«Come scienziati pubblici esprimiamo sconcerto e tristezza per aver subito una violenza ingiustificata, frutto di oscurantismo e pulsioni antiscientifiche», hanno scritto Brambilla e Fornara nel comunicato sulla distruzione della coltivazione.