Un recente studio — citato da The Guardian — mostra che il “Eat Out to Help Out”, il programma promosso nel 2020 nel Regno Unito per rilanciare la ristorazione dopo i lockdown, non ha avuto come solo effetto la ripresa economica. I ricercatori del Imperial College London hanno rilevato che durante i giorni in cui il piano era attivo (lunedì-mercoledì ad agosto) si sono verificati picchi “inaspettati” di particolato in atmosfera legato alla cucina commerciale: particelle di grassi, residui di combustione da legna e carbone — tipici della cottura — evidenziano un aumento dell’attività culinaria su larga scala.
Secondo lo studio, le emissioni derivanti dalla cucina commerciale rappresentano una fonte sottovalutata di inquinamento urbano: nella capitale britannica, questi contributi sarebbero responsabili di circa l’8% delle emissioni totali di particolato.
I livelli di inquinamento dovuti a queste attività non sono tornati immediatamente alla normalità una volta terminato il programma: ciò suggerisce che la “spinta” ad uscire e consumare fuori casa possa aver generato cambiamenti comportamentali duraturi, con potenziali conseguenze stabili sulla qualità dell’aria.
Gli autori dello studio avvertono che, sebbene la ristorazione e la cultura del mangiare fuori siano socialmente e economicamente importanti, è necessario riconoscere che la “cottura su scala urbana” può danneggiare l’aria che respiriamo — perciò è urgente valutare regole più stringenti o tecnologie di abbattimento degli inquinanti nelle cucine commerciali.



