Un’esperienza arrivata allo step decisivo è quella dell’Università di Verona dove un gruppo – nato 25 anni fa e composto da circa 10 persone tra i 25 e i 36 anni – sotto la guida di Sara Zenoni, docente di genetica agraria, ha ottenuto pochi giorni fa dal ministero dell’Ambiente e Sicurezza energetica l’autorizzazione a sperimentare la coltivazione della vite in campo, è il primo caso in Italia.
Sono stati due i momenti cruciali di questo lavoro. “Nel 2007 il laboratorio ha partecipato al progetto del sequenziamento del genoma della vite – ricorda Zenoni – e da quel momento le attività di ricerca si sono concentrate sullo studio di geni di vite importanti per la regolazione del processo di maturazione dell’acino, nelle risposte agli stress ambientali e nella difesa contro i patogeni”.
Il secondo momento ha un carattere anche industriale, perché necessario a garantire le risorse per portare avanti la ricerca: “Nel 2021 è nato lo spin-off EdiVite, una società privata di ricerca che opera all’interno del dipartimento di biotecnologie, e che ha come obiettivo quello di produrre viti più resistenti ai patogeni al fine di ridurre l’utilizzo di fitosanitari necessari per la difesa dei vigneti. Per la nascita dello spin off è stato decisivo il sostegno di alcuni produttori di prosecco, che si sono rivolti al nostro laboratorio chiedendoci di produrre una vite resistente alla malattia della peronospora, una tra le più importanti nel settore, che causa la perdita di gran parte della produzione”.
Studiare la vite non è semplice, si tratta di un sistema complesso, perenne, arboreo, che sta bene nei campi e non ama molto crescere in condizioni controllate in laboratorio. EdiVite ha ottimizzato e brevettato il processo per ottenere una pianta migliorata, che si basa sulla rigenerazione di una singola cellula di vite, nella quale il dna è stato corretto, e che porta alla costituzione della pianta.
Questo è possibile perché le piante hanno l’innata capacità di riuscire a rigenerarsi da parti di esse, anche da singole cellule. Tuttavia, come ammette Zenoni, “la procedura deve essere migliorata. I dati a oggi ottenuti sono comunque molto incoraggianti, perché abbiamo delle piante più resistenti alla peronospora. Anche se al momento la sperimentazione in laboratorio sta procedendo bene, continuiamo a lavorare su altri caratteri e varietà, sia nazionali che internazionali, dopo il prosecco vogliamo occuparci del Chardonnay”.