Dall’agricoltura possono arrivare risposte importanti per il pianeta, ed è un’opportunità che l’Italia non può perdere. La riduzione delle emissioni di CO2 e la cattura e stoccaggio del carbonio nel suolo, con lo scopo di togliere dall’atmosfera l’anidride carbonica, sono obiettivi a cui tendere nell’immediato futuro, approfittando dello sviluppo delle tecnologie e, puntando sull’agricoltura rigenerativa, lontana dal paradigma delle monoculture, che impoveriscono il suolo e richiedono un utilizzo pervasivo di pesticidi, in primis il glifosato”.
Paolo Bàrberi insegna Agronomia e Coltivazioni Erbacee al Centro di Scienze delle Piante della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa: è tra i massimi esperti in Italia di agroecologia. Il suo approccio si distingue per la ricerca partecipativa: “Scendiamo in campo con gli agricoltori, dialoghiamo con loro, comprendiamo esigenze e difficoltà e individuiamo soluzioni ad hoc per ciascuna realtà, lontani dalle logiche della standardizzazione agricola, che ha generato importanti criticità”.
Una su tutte: tra fertilizzanti, combustibili fossili, liquami e deiezioni dei ruminanti, il settore agricolo è responsabile del 20% delle emissioni di gas serra dell’Unione Europea. “Ma c’è un percorso di miglioramento, ancorché lento, nel nostro Paese. Che ha compreso come una maggiore copertura del terreno, in un’ottica di ottimizzazione delle risorse, e una crescente diversificazione delle colture favoriscano la decarbonizzazione. Si ragiona sempre più in chiave ecosistemica: l’obiettivo è coltivare il più possibile senza input esterni”.
“Per favorire l’accumulo degli stock di carbonio e aiutare il Pianeta a respirare, va abbandonata la logica della coltivazione su terreno nudo. Coltivare su un suolo ricoperto da vegetazione naturale, o impiantata ad hoc, è un modo intelligente per consentire lo stoccaggio del carbonio e, contemporaneamente, arginare gli effetti dei fenomeni climatici estremi. La Natura ci aiuta a proteggere la Natura, basta avere a cuore l’equilibrio del suolo e non considerare infestanti tutte le piante non coltivate”.
“In due vigneti nel Chianti abbiamo misurato l’eventuale competizione per l’acqua tra vegetazione spontanea o impiantata e la vigna verificando che lo stress, che si registra solo in brevi periodi estivi, non incide sulla resa in uva e risulta addirittura vantaggioso per la qualità del vino. Questa evidenza smentisce la credenza comune che d’estate si debba lasciare il terreno nudo per evitare la competizione tra vite ed erbe spontanee. Nelle colline pisane abbiamo affiancato un agricoltore che produce frumento duro e girasole: nella fase intermedia tra le due colture abbiamo seminato la veccia vellutata, una leguminosa, la cui biomassa favorisce lo stoccaggio di carbonio in un periodo in cui il terreno sarebbe rimasto inutilizzato, con relativo spreco della radiazione solare, fornendo in più azoto a beneficio della coltivazione che le succederà, quella del girasole. E non serve neanche più arare il terreno”.