Si stima che circa il 10% delle donne a livello mondiale assuma alcol in gravidanza e che in media circa 15 bambini su 10.000 nati in tutto il mondo siano colpiti da sindrome fetoalcolica e da spettro dei disordini fetoalcolici (Fetal Alcohol Sindrome FAS; Fetal Alcohol Spectrum Disorder FASD), disabilità permanenti di tipo fisico, mentale e comportamentale con implicazioni a lungo termine provocate sul feto dall’alcol gestazionale.
Per valutare, quindi, nel nostro Paese il reale consumo di alcol nelle donne in gravidanza o che desiderano avere un figlio e per prevenire le conseguenze di tale consumo, il Ministero della salute ha affidato al Centro Nazionale Dipendenze e Doping dell’ISS un progetto pilota – Prevenzione, Diagnosi precoce e trattamento mirato di FASD e FAD – iniziato nel 2019 e che si concluderà alla fine del 2021, che ha coinvolto cinque regioni (Lazio, Marche, Sicilia, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia) con gli obiettivi di monitorare il consumo di alcol in gravidanza e la conseguente esposizione fetale, informare sui rischi dell’alcol in gravidanza attraverso la diffusione di opuscoli e altri strumenti operativi su tutto il territorio nazionale, e formare operatori sanitari e assistenti sociali sulla prevenzione, la diagnosi e il trattamento di FAS e FASD.
Secondo il rapporto dell’OMS del 2018, il 65,6% delle donne in età fertile nella regione europea consuma alcol.
In media, il 25% delle donne in gravidanza in Europa consuma alcol, con il 2,7% che si dedica al binge drinking. Irlanda, Bielorussia, Danimarca, Regno Unito e Russia hanno i tassi più alti al mondo di consumo di alcol in gravidanza (Lancet Global Health, 2017).
Lo studio stima che il 2% della popolazione europea sia affetta da una FASD, con tassi molto alti tra gli adottati dell’Europa orientale, negli orfanotrofi e negli istituti psichiatrici. E i numeri sono probabilmente destinati a salire a causa di questi tempi pandemici.
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