L’emergenza sanitaria che stiamo affrontando è una «sindrome simil-influenzale da Coronavirus». Dobbiamo quindi trattarla come un probabile brutta influenza: Covid-19 è un’infezione che provoca nella maggior parte dei casi sintomi lievi.
In alcuni più gravi, e in altri, purtroppo, gravissimi. Esattamente come accade in ogni normale influenza stagionale. Questo però è il momento di opporre al virus una reazione di grande coscienza collettiva. Dobbiamo fare forse il più grande sforzo di responsabilità della nostra epoca. Il problema vero di questa malattia è legato ai numeri: se il contagio coinvolgesse tantissime persone contemporaneamente correremmo rischi gravissimi. Nell’ipotesi che si dovesse ammalare (o mettere in quarantena) il 20 per cento della popolazione italiana, si bloccherebbero i servizi, si intaserebbero gli ospedali e si darebbe un grosso colpo alla produttività del Paese. Non illudiamoci: ci vorrà un anno per trovare il vaccino e mi aspetto che la sindrome influenzale da coronavirus continuerà a diffondersi sino a primavera inoltrata.
Nel frattempo l’Italia, come il resto dei Paesi del mondo, devono non solo seguire le linee guida internazionali, ma attuare comportamenti individuali in grado di rendere la vita più difficile al virus. Penso quindi che durante il picco dell’epidemia le scuole potrebbero lasciare a casa i propri allievi e sostituire l’insegnamento diretto con piattaforme tipo Skype o FaceTime.
Le aziende potrebbero attuare il tele-lavoro e anche piccole azioni quotidiane come smettere di fare la spesa possono avere una grande incidenza nel blocco della diffusione del virus: si potrebbe ad esempio potenziare la consegna a domicilio.
È ovvio e assolutamente fondamentale, seguire regole base come lavarsi le mani e, nel caso non si stia bene, evitare di frequentare luoghi affollati. La regola deve essere la seguente: proteggere gli altri per proteggere se stessi e lavorare con intelligenza (tutti insieme) per arginare il contagio.