Nel corso di migliaia di anni, gli agricoltori hanno allevato gli animali in modo selettivo per l’agricoltura.
Questo processo di addomesticamento ha dato origine a razze in grado di tollerare condizioni come gabbie e stalle affollate, consentendo lo sviluppo dell’allevamento industriale.
I consumatori richiedono sempre più spesso migliori standard di benessere per gli animali allevati, ma non è facile passare a una forma di allevamento meno intensiva.
«Le persone danno per scontato che, nel momento in cui si toglie un pollo dalla gabbia, si ottiene un pollo felice», afferma Smulders, docente di Neuroscienze evolutive all’Università di Newcastle. «Ma la realtà è che questi polli non sono stati allevati per affrontare questi ambienti di grandi dimensioni e, finché non sapremo come progettare al meglio l’ambiente senza gabbie per un benessere ottimale, tali ambienti possono creare una situazione molto stressante per gli animali.» Ciò evidenzia l’enorme impatto che l’addomesticamento ha avuto sugli animali. «Possiamo vedere questo impatto nel fatto che gli animali domestici sono meno timorosi nei confronti dell’uomo e hanno una risposta allo stress attenuata rispetto ai loro equivalenti selvatici», spiega Smulders.
Nell’ambito del progetto CHICKENSTRESS, finanziato dall’UE e dal programma di azioni Marie Skłodowska-Curie, Smulders ha cercato di individuare possibili modi per ridurre lo stress nei nuovi sistemi di allevamento. Il progetto ha combinato indagini sul benessere degli animali con approfondimenti sulla neurobiologia dello stress. I ricercatori hanno scoperto che arricchendo l’ambiente delle galline in gabbia, anche con videogiochi, era possibile aumentare il benessere.
Allevare polli per la felicità, selezionando quelli più tolleranti alla vita in fattoria, potrebbe evitarci di essere costretti ad apportare ulteriori miglioramenti materiali alle condizioni di vita degli animali. Ma Smulders dice che vale comunque la pena di provarci. «A mio parere personale, se si assume la prospettiva che il benessere animale riguarda l’esperienza soggettiva dell’animale, e se l’esperienza soggettiva dell’animale è positiva per qualsiasi motivo, allora non vedo perché non dovremmo almeno cercare di allevare un animale a cui “non dispiace di essere mangiato”.»