E’ opinione molto diffusa che gli animali da allevamento siano imbottiti di antibiotici e che possano esserci dei pericoli per i consumatori. Per tranquillizzare i cittadini sono abbastanza diffusi i messaggi che affermano genericamente l’assenza di impiego degli antibiotici, senza però fornire spiegazioni esaurienti.
Già alla fine degli anni ’60 emerse il problema della farmacoresistenza e nel 1969 nel Regno Unito venne pubblicato il “Rapporto Swann” che mise in evidenza la comparsa di ceppi batterici resistenti agli antibiotici negli allevamenti che ne facevano uso. Da li nacque la convinzione che la questione della farmacoresistenza fosse legata quasi esclusivamente alla zootecnia.
Negli anni successivi si riscontrarono diversi casi umani di malattie infettive sostenute da microrganismi farmacoresistenti e, forse a torto, la zootecnia venne messa alla gogna.
Le Autorità Sanitarie intervennero e decisero di non consentire l’impiego degli antibiotici come additivi dei mangimi e di consentirne l’uso soltanto a scopo terapeutico previo diagnosi della malattia e sotto il controllo sanitario di un Medico Veterinario.
Dal divieto rimasero esclusi i prodotti contro la coccidiosi e l’istomoniasi dei tacchini, tra cui alcuni antibiotici , che possono essere ancora essere utilizzati come additivi nei mangimi destinati prevalentemente ai volatili.
L’impiego “legale” degli antibiotici negli allevamenti zootecnici non comporta rischi significativi per quanto riguarda i residui; è inoltre fondamentale per garantire sia il benessere degli animali, sia la salubrità degli alimenti da essi prodotti.
Esiste però il pericolo dell’induzione di farmacoresistenza che non riguarda il consumo degli alimenti di origine animale soprattutto se cotti, ma la possibile diffusione ambientale dei microrganismi farmacoresistenti.
Le limitazioni adottate nel settore zootecnico forniscono importanti garanzie per la salute pubblica, ma sarebbero inutili se non si adottano misure che impediscono altre fonti di farmacoresistenza (errori terapeutici umani, abuso di disinfettanti, terapie inadeguate negli animali da compagnia, ecc.).
Non è però corretto affermare che negli allevamenti non viene fatto uso di antibiotici sia perché quando è necessario sono impiegati a scopo terapeutico, sia e soprattutto perché l’impiego di alcuni è ancora consentito e probabilmente sono molti gli allevatori che li utilizzano in modo del tutto legale.