Gli organismi geneticamente modificati – che l’Europa da tempo ha deciso di non produrre ma che continua a importare – usciti dalla porta potrebbero rientrare dalla finestra.
L’estensione del bando alle sperimentazioni è stata stabilita da una sentenza della Corte di Giustizia Ue per colmare un vuoto normativo sull’ambito di applicazione delle nuove tecniche conosciute con il nome di “mutagenesi”. Una sentenza che ha fatto discutere il mondo scientifico e creato nuove divisioni in quello agricolo, perché rischia di bloccare l’innovazione e la ricerca del settore. Fino a costringere il Consiglio Ue, lo scorso novembre, a riconoscere la necessità di rivedere la direttiva europea sugli Ogm del 2001.
Rivedere la direttiva sugli Ogm del 2001, di fronte ai progressi degli ultimi anni, rappresenta la sola strada di fatto per consentire alle nuove tecniche, basate sulla modifica del Dna delle piante attraverso l’introduzione di un gene della stessa specie (non esogeno come avviene invece per gli Ogm), di essere sperimentate in campo aperto. Il Consiglio Ue ha riconosciuto il problema stabilendo formalmente che sulle nuove tecniche di mutagenesi c’è una «condizione di incertezza» che occorre superare con «nuove disposizioni», riferendosi alla sentenza pubblicata dalla Corte europea nel luglio del 2018. Secondo il Consiglio Ue bisogna assicurare «la parità di trattamento tra i prodotti importati e quelli originari della Ue».
Il documento, frutto di un faticoso compromesso, invita la Commissione a presentare, entro il 30 aprile 2021, uno studio sullo status delle nuove tecniche di mutagenesi nel diritto dell’Unione alla luce della sentenza della Corte. Solo dopo la Commissione potrà «presentare una proposta» o «informare il Consiglio delle altre misure necessarie».