Nell’ultimo secolo, la produzione globale di plastica ha raggiunto 320 milioni di tonnellate (Mt) all’anno e oltre il 40% è utilizzato come imballaggi monouso, producendo quindi rifiuti di plastica. Il degrado che la plastica subisce quando viene rilasciata nell’ambiente è un problema serio Gli agenti atmosferici, come le onde, l’abrasione, la radiazione ultravioletta e la fotoossidazione in combinazione con i batteri, degradano i frammenti di plastica in particelle micro e nanometriche. La maggior parte dei fondali in tutto il mondo e nel Mar Mediterraneo in particolare, è costituita da plastica, derivante dai rifiuti raccolti sulle coste e in mare. Le microplastiche (MP) sono definite come particelle di dimensioni inferiori a 5 mm. I MP non derivano solo dalla frammentazione di pezzi più grandi ma sono anche prodotti in queste dimensioni per usi commerciali. Inoltre, ci sono diverse segnalazioni di frammenti trovati nel cibo, e in particolare nei frutti di mare, nel sale marino e nell’acqua potabile. Sono state rilevate microplastiche anche nel tratto gastrointestinale di animali marini e anche nell’intestino umano.
In questo studio, per la prima volta, sono stati rilevati diversi frammenti di microplastica mediante microspettroscopia Raman in campioni di placenta umana raccolti da sei pazienti consenzienti con gravidanze senza incidenti. La microspettroscopia Raman è una tecnica vibrazionale ben valutata, ampiamente e con successo applicata in campo biomedico, per caratterizzare sia campioni biologici, sia per rilevare la presenza di microplastiche e microparticelle in generale.
La placenta regola finemente l’ambiente fetale a quello materno e, indirettamente, a quello esterno, fungendo da interfaccia cruciale attraverso diversi meccanismi complessi. La potenziale presenza di microplastiche in questo organo può danneggiare la delicata risposta di differenziazione tra sé e non sé con una serie di conseguenze correlate sullo sviluppo dell’embrione che devono essere definite.
Tutte le donne reclutate erano sane e hanno avuto un parto vaginale a termine della gravidanza presso il Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale San Giovanni Calibita Fatebenefratelli, Isola Tiberina, Roma (Italia). Sono stati selezionati in base ai seguenti criteri di esclusione: diagnosi di malattie gastrointestinali, come colite ulcerosa o morbo di Crohn, cancro, trapianto di organi, HIV (virus dell’immunodeficienza umana) o altre patologie gravi; abuso di alcol (definito come un punteggio> 10 nel test di identificazione dei disturbi da consumo di alcol); fumare sigarette; diete particolari prescritte per particolari condizioni mediche (quattro settimane prima del parto); diarrea o costipazione (due settimane prima del parto); assunzione di antibiotici (due settimane prima del parto); assunzione di farmaci che influenzano il riassorbimento intestinale, come il carbone attivo, o colestiramina (due settimane prima del parto); trattamenti dentali invasivi o abrasivi (due settimane prima del parto); partecipazione a uno studio clinico (quattro settimane prima del parto). Alle donne è stato anche chiesto di compilare un questionario per registrare il loro consumo di cibo (onnivoro, vegetariano, vegano, senza restrizioni dietetiche) la settimana prima del parto e l’uso di dentifrici e cosmetici contenenti MP o polimeri sintetici.