Interessante articolo pubblicato su “Ecoscienza sostenibilità e controllo ambientale” la rivista dell’Agenzia regionale prevenzione, ambiente ed energia dell’Emilia-Romagna (ARPAE).
Ne riportiamo alcuni passaggi importanti.
La blue economy pone numerose sfide che sono anche sfide di politica industriale.
I governi sono chiamati a porre in essere politiche di sviluppo volte a dare priorità a investimenti in innovazioni tecnologiche sul mare e sulle sue risorse.
Nel quadro della classica sostenibilità alimentare si inserisce l’acquacoltura, che contribuisce alla sicurezza dell’approvvigionamento alimentare oltre che alla crescita e all’occupazione
nelle regioni costiere.
In Italia la molluschicoltura rappresenta la principale voce produttiva per l’acquacoltura con la produzione basata quasi tutta su mitili, vongole veraci filippine a cui si sommano limitate quantità di vongole veraci e ostriche arrivando a produrre circa 75 tonnellate di prodotto per anno.
La molluschicoltura può essere riconosciuta come uno dei sistemi di produzione di proteine animali più efficienti e con basse emissioni di CO2.
L’allevamento dei bivalvi offre numerosi servizi ecosistemici, infatti, i molluschi negli allevamenti contribuiscono a regolare i cicli dei nutrienti nella colonna d’acqua e sul fondo, contrastando
fenomeni quali l’eutrofizzazione. I molluschi si accrescono filtrando il fitoplancton, naturalmente presente nell’acqua di mare, e mostrando così un ridotto impatto ambientale. Inoltre
studi recenti hanno dimostrato che le emissioni di gas (CO2) provenienti dagli allevamenti di molluschi sono di gran lunga inferiori rispetto a qualsiasi altra produzione zootecnica. Quindi la
mitilicoltura come mezzo di sostenibilità per contribuire alla mitigazione degli impatti ambientali attraverso il sequestro di anidride carbonica all’interno della conchiglia.
Nell’ultimo decennio nell’ambito della mitilicoltura, c’è purtroppo da segnalare un contributo relativamente importante agli impatti ambientali della filiera rappresentato del materiale
plastico (retine tubolari di polipropilene) utilizzato per le calze all’interno delle quali vengono sistemati i mitili durante la fase di ingrasso. Infatti purtroppo queste reti sono soggette a deperimento e dispersione in mare con un conseguente inquinamento.
Dunque le “calze dei mitili” (mussel socks) rappresentano uno dei rifiuti plastici più frequentemente rinvenuto lungo le spiagge del nord Adriatico e conseguentemente maggiormente censito
durante i monitoraggi condotti ai sensi del Dlgs 190/2010 sulla Strategia marina.
Diversi studi e progetti pilota hanno cercato di trovare una soluzione al problema, sperimentando sistemi di allevamento con reti realizzate in fibra naturale (cotone, fibre di agave, fibre di graminacee), ma rivelando una scarsa durabilità in termini di trazione e sollecitazioni del mare. Anche la sperimentazione di materiali bioplastici in sostituzione ai materiali plastici
convenzionali è una strada percorsa che, ahimé, si è scontrata con il differenziale che oggi esiste tra i prezzi di vendita delle due tipologie di prodotto: da un lato il polimero plastico, dall’altro il biopolimero.
Ancora una volta la scelta più sostenibile ovvero l’alternativa alla plastica si dimostra essere quella economicamente più cara, la scelta più di élite, la scelta più difficile da intraprendere. È a tal proposito auspicabile un intervento delle istituzioni al fine di supportare i pescatori in un’ottica di sostenibilità.
Infine la considerazione che la transizione dall’attuale paradigma economico lineare a quello circolare stenti ad avanzare ci pone davanti una sorta di inerzia, legata verosimilmente alle nostre abitudini, ai comportamenti di consumo che, di fatto, possono compromettere i vantaggi ambientali derivanti dalla transizione a un’economia circolare.