L’impronta idrica della carne bovina è stimata in circa 15.000 litri per kg di prodotto; verrebbe da dire: “Oh no!! Oggi per il mio pranzo sto sprecando 700 litri di acqua, le docce di due settimane”.
Questa affermazione, sbandierata ovunque dalle riviste scientifiche al settimanale di cultura generale o in tanti siti web, ha purtroppo distratto da una consapevole presa di coscienza dei numerosissimi fattori, che causano uno stato di emergenza dovuto alla siccità.
Molte volte i media hanno la capacità di semplificare un problema troppo complesso, producendo dei claim, che inducono a scelte di costume e sociali dettate dalla pancia e non dalla razionalità, cercando, nel contempo, un capro espiatorio verso cui rivolgere il dito.
Gli altri prodotti zootecnici non hanno subìto la stessa eco mediatica, perché meno penalizzati, grazie alla loro migliore efficienza di produzione, pur utilizzando una quota maggiore di concentrati, ottenuti per la maggior parte con sistema irriguo.
Dalla conferenza internazionale ONU di Dublino del 1992 (International Conference on Water and the Environment – ICWE), è ampiamente riconosciuto che l’acqua dolce è una risorsa limitata e vulnerabile, essenziale per sostenere la vita e pertanto, dovrebbe essere trattata come bene economico. Si definì come impronta idrica (WFP water footprint) il volume di acqua dolce necessaria per produrre un qualsiasi bene o servizio (cioè i ben noti 15.000 l /kg di carne).
Ci si rese subito conto della difficoltà di misurare in modo corretto la WFP. Una delle tante problematiche era legata ai continui scambi commerciali, tra paesi molto distanti, di prodotti intermedi, che concorrono all’ottenimento del prodotto finale (per esempio la farina di estrazione di soia per uso zootecnico importata in Italia dalle Americhe).
Fu necessario, pertanto, introdurre il concetto definito da Allan (1998) di “acqua virtuale” includendo l’acqua necessaria a produrre beni di scambio.
Poiché la carne bovina, per le sue peculiarità intrinseche, è l’alimento che utilizza più acqua a parità di peso, viene da pensare che, qualora se ne mangi meno, si contribuisca comunque alla salvaguardia delle risorse idriche.
Questa conclusione non è esatta perché, se si sostituisce parte della carne con verdura e frutta, che derivano da colture irrigue, il consumo complessivo di acqua nella dieta non varia in modo sostanziale. Questo viene messo in evidenza in diverse ricerche scientifiche; in particolare, Cambeses-Franco et al. in un lavoro del 2022 riferisce che non ci sono differenze nel consumo di acqua per la dieta EAT-Lancet con porzioni ridottissime di carne (meno di 100g a settimana) e la dieta Mediterranea (300g di carne a settimana). Il dato sorprendente è che la dieta italiana con 500g di carne a settimana impatta meno sul consumo di acqua a causa di un cospicuo uso di pasta.
In un altro lavoro tutto italiano (Zucchinelli et al. 2021) si evidenzia che, passando da una dieta onnivora a una vegana, il risparmio idrico è solo del 14 % circa, senza contare l’impatto idrico che possono avere gli integratori alimentari assunti in una dieta esclusivamente vegetale.