I fattorini fantasma si incontrano tutti i giorni nel piazzale davanti alla Stazione Centrale di Milano oppure vicino all’altro scalo ferroviario di Milano Garibaldi.
Portano il cibo nelle nostre case, anche se nessuno sa chi siano. Nelle ore in cui effettuano consegne, infatti, vestono l’identità di un’altra persona. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di immigrati in attesa del permesso di soggiorno che, per provare a vivere dignitosamente, si affidano al caporalato digitale.
Il fenomeno ha due volti, abbastanza diversi. Il primo mostra i tratti di un caporalato di tipo «sussidiario» e viene praticato tra immigrati che cercano di aiutare i connazionali. Questo presuppone che i primi siano regolarmente registrati a uno dei tanti siti di food delivery. Dopodiché cedono a qualche conoscente l’attrezzatura e lo smartphone con l’applicazione necessaria per lavorare, sia perché genera il codice che consente il ritiro del cibo al ristorante sia per conoscere l’indirizzo di consegna. Quasi tutti, a chi li avvicina fingendo di voler diventare un rider, dicono di averla ricevuta gratuitamente ma è probabile, invece, che paghino almeno 65 euro. Cioè l’equivalente della cauzione che il rider versa alle piattaforme digitali per ricevere lo zaino termico.
L’altra forma di caporalato avviene tra un italiano e un immigrato. Se non hai i documenti non ti resta che metterti d’accordo con qualcuno e comprargli l’account. Lo fanno soprattutto gli italiani, si registrano con più facilità, e poi vendono la registrazione facendoti lavorare. La vendita dell’account in alcuni casi si affianca al pagamento di una «tassa» sulle consegne effettuate.