La pandemia da Covid-19 e il lockdown stanno provocando gravi conseguenze anche in ambiti sanitari solitamente poco considerati, ma che purtroppo contano numeri esorbitanti di pazienti coinvolti. Tra questi, sta destando non poche preoccupazioni l’aumento dei casi di disturbi del comportamento alimentare (DCA), soprattutto tra gli adolescenti.
I DCA, come anoressia, bulimia e binge eating (disturbo da alimentazione incontrollata), rappresentavano già in epoca prepandemica un grave problema di salute pubblica. Tuttavia, nell’ultimo anno, le richieste di intervento sono aumentate: il numero di prime visite è aumentato dal 30 al 50%, mentre l’età dei pazienti è scesa, dai 15-16 anni prima del Covid, a 12 anni.
Secondo gli esperti, l’aumento dei casi è dovuto non tanto al virus o allo stato di isolamento in sé, quanto all’emergere di stati di disagio già esistenti, che sono esplosi in questa situazione di emergenza sanitaria: problemi con la famiglia, difficoltà di accettazione e fragilità personali. Di fronte ad un quadro così preoccupante che conta 3,5 milioni di pazienti in Italia, di cui oltre 2 milioni adolescenti, stupisce il fatto che i DCA non rientrino tra i livelli essenziali di assistenza garantiti (LEA), prestazioni e servizi che il Sistema Sanitario Nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini gratuitamente, o dietro pagamento di un ticket, attraverso le risorse pubbliche raccolte dalle tasse.
La lotta per l’inclusione dei DCA nei LEA è una lotta che molte associazioni stanno portando avanti, anche in vista della Giornata mondiale del disturbo mentale, prevista l’8 ottobre.