Sono passati più di 25 anni da quando l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change, la massima autorità mondiale sui temi climatici) ha pubblicato il «Climate Change 1995: the Science of Climate Change» il rapporto che per la prima volta mostrava in modo chiaro le evidenze scientifiche sul riscaldamento globale e sull’influenza dell’attività umana.
Eppure ancora oggi sono migliaia le fake news che circolano in rete e che contestano la necessità di un’azione decisa.
La Royal Swedish Academy of Sciences, che proprio in questi giorni ha organizzato il primo vertice dei Premi Nobel dedicato al clima («Our Planet, Our Future», 26-28 aprile), lancia l’allarme: la disinformazione sui social network mette in pericolo le misure per salvare il pianeta.
Uno studio dell’organizzazione InfluenceMap pubblicato nel 2019 afferma che negli anni successivi all’accordo di Parigi «le cinque maggiori aziende di gas e petrolio (ExxonMobil, Royal Dutch Shell, Chevron, British Petroleum e Total) hanno investito più di un miliardo di dollari per le campagne di disinformazione sul clima».
Nel giugno 2019 diversi siti web italiani hanno pubblicato la «Petizione sul riscaldamento globale antropico», documento inviato ai presidenti della Repubblica, del Consiglio, della Camera dei Deputati e del Senato, in cui si contesta «l’allarmismo climatico» e si dice apertamente che non c’è nessuna urgenza né crisi irrimediabile. La petizione, sottoscritta da 83 persone tra cui alcuni scienziati, ha avuto una grande eco.
Il blog scientifico climalteranti.it , che da anni fa le pulci ai negazionisti in rete, ha smontato le fake news presenti nel documento e mostrato come i firmatari, tranne pochissime eccezioni, non avevano alcuna competenza di scienza del clima. È stata anche ricostruita la storia della petizione del 1997 che ne era il modello: in particolare sono emersi i legami tra il promotore del testo del 1997, il fisico Frederick Seitz, e le industrie del tabacco e del fossile. Stefano Caserini, docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano e coordinatore di climalteranti.it, afferma che rispetto a dieci anni fa la situazione è nettamente migliorata: «Oggi più del 99% degli scienziati riconosce il riscaldamento climatico di origine antropica. E in effetti sui siti scientifici e sulle testate più autorevoli le fake news non compaiono più, mentre sono diventate virali sul web. E l’effetto è devastante perché instillano dubbi in una parte della popolazione, proprio nel momento in cui è indispensabile un cambio radicale dei comportamenti collettivi. L’ultimo appiglio dei negazionisti, ormai privi di teorie alternative e sconfessati dai fatti, è quello di sostenere che ormai è troppo tardi per intervenire».
Il nuovo corso di Facebook e le emissioni di C02 nel mondo
Dopo anni di totale assenza di controlli qualcosa sta cambiando, almeno sul social network più diffuso. Dal 2020 Facebook ha ideato il «Climate Science Information Center», piattaforma che segnala le fake news climatiche postate dagli utenti e invita a consultare fonti ufficiali e affidabili come l’IPCC.