VII^ puntata:
Occorre la prova della concreta pericolosità dell’alimento
La Corte di Cassazione (IV Sezione penale, sentenza n. 16108 del 12 aprile 2018) ha assolto una farmacista dai reati di cui agli artt. c.p. 444 e 452 (Capo A) e 590 (Capo B), per aver posto in commercio una confezione di latte in polvere per lattanti, scaduta dal 16 luglio 2008.
La farmacista viene processata per i reati di commercio di sostanze alimentari nocive e lesioni, entrambi nella forma colposa e dopo essere stata condannata in primo grado, viene assolta dalla Corte d’appello e poi, in via definitiva, dalla Cassazione dopo che i genitori del bambino erano ricorsi in Cassazione.
Ma cosa è accaduto? A un bambino viene somministrato dai genitori latte in polvere la cui data di preferibile consumazione era superata. Dopo aver ingerito il latte in polvere avverte disturbi quali dolori addominali e febbre, per i quali si rende necessario anche un ricorso al Pronto Soccorso dove viene giudicato guaribile in otto giorni. I genitori denunciano la titolare della farmacia da cui il prodotto era stato acquistato.
I giudici della Corte di Cassazione confermavano la sentenza di assoluzione dell’imputata ribadendo che ai fini della realizzazione di queste figure di reato non è sufficiente che l’alimento in questione sia scaduto o, ancor meno, sia scaduta la sua data di preferibile consumazione. La Corte precisa che la dicitura riportata sulla confezione di alimenti recante l’indicazione “da consumarsi preferibilmente entro il” ha un’importante valenza probatoria, posto che secondo la giurisprudenza, la messa in commercio di prodotti confezionati, recanti tale dicitura, caratterizzati dal presentare sulla confezione l’indicazione di una data spirata, non configura «alcuna ipotesi di reato, ma solo un illecito amministrativo di cui al Decreto Legislativo n. 109 del 1992, articolo 10, comma 7, e articolo 18. Ciò in quanto, la rilevanza penale della commercializzazione di sostanze nocive «è legata non già al dato formale del commercio di alimentari la cui data di scadenza (o meglio, di preferibile consumazione) sia già spirata, ma – come correttamente messo in luce dai Giudici – al dato sostanziale della pericolosità in concreto», essendo, del resto, il reato di commercio di sostanze alimentari nocive reato di pericolo «per la cui sussistenza è necessario che gli alimenti abbiano, in concreto, la capacità di arrecare danno alla salute e quindi, occorrono specifici accertamenti per provare questa capacità dei prodotti in esame, elementi di prova che nel caso di specie, a quanto si legge nella sentenza, mancavano.
E’ importante mettere in evidenza che un alimento anche se scaduto se si presenta ancora in ottime condizioni e non deteriorato può essere ancora venduto o meglio, se si vende non si commette alcun reato ma tale reato si configura solo se si riesce a dimostrare concretamente che la singola merce abbia perso le sue qualità specifiche, il semplice superamento della data di scadenza dei prodotti alimentari non comporta, necessariamente, la perdita di genuinità degli stessi.
Di estremo interesse è anche la parte della sentenza relativa alle regole di accertamento processuale del cosiddetto “nesso causale”, cioè il rapporto che lega una determinata condotta ad un evento, facendo sì che il primo sia considerabile come la causa del secondo.
Ebbene, la Cassazione afferma che nel caso sottoposto alla sua attenzione non si era raggiunta la certezza che i disturbi del bambino fossero effettivamente collegabili proprio al latte in polvere scaduto quindi non viene raggiunta la prova che la causa della malattia del bambino fosse realmente il latte in polvere scaduto.