Due studi mostrano come per correggere il problema dei rifiuti di plastica sia necessario un radicale cambiamento in termini di produzione, utilizzo e smaltimento della plastica.
La campagna globale per il controllo dei rifiuti di plastica è una delle cause ambientali in più rapida crescita di sempre. Tuttavia, non è stata sufficiente a intaccare il crescente quantitativo di rifiuti di plastica che finisce nei mari.
Nei prossimi anni, i rifiuti che scorrono nelle vie d’acqua e che finiscono poi negli oceani raggiungeranno i 22 o forse addirittura i 58 milioni di tonnellate all’anno. E questa è la “buona” notizia: la previsione, infatti, tiene conto di migliaia di impegni ambiziosi da parte di governi e industrie per ridurre l’inquinamento da plastica.
Senza questi impegni, lo scenario “normale” prevedrebbe almeno il doppio della quantità. Senza tentativi di miglioramento nella gestione dei rifiuti oltre a quelli già in atto, 99 milioni di tonnellate di plastica non controllate potrebbero finire nell’ambiente entro il 2030.
Così come per il cambiamento climatico, molto dipende da come la comunità globale reagirà nei prossimi due decenni. E, sebbene i paralleli tra il problema dei rifiuti di plastica e il cambiamento climatico siano ovvi (entrambi affondano le proprie radici nel petrolio, l’ingrediente di base per produrre la plastica), divergono per un fattore fondamentale: la persistenza del materiale. Mentre esiste una qualche possibilità – seppure remota – che la tecnologia e il ripristino di ecosistemi naturali possano abbassare la CO2 nell’atmosfera, non esiste niente di analogo per la plastica, che risulta praticamente indistruttibile e non scompare.
Questa è la seconda analisi che guarda al futuro dell’economia della plastica e che conclude che correggere il problema dei rifiuti – il 40% della plastica prodotta oggi è di tipo monouso – richiede un cambiamento radicale in termini di produzione, utilizzo e smaltimento.
I dati sono stati ricavati da un team di scienziati reclutati dalla National Science Foundation attraverso il Centro nazionale di sintesi socio-ambientale (in inglese National Socio-Environmental Synthesis Center, SESYNC), dell’Università del Maryland. L’altro progetto, che guarda al 2040, è stato condotto dalla Pew Charitable Trusts e da SYSTEMIQ, una società di consulenza e di investimento ambientale con sede a Londra. Entrambi gli studi sono stati pubblicati sulla rivista Science.
Quello che è insolito è che due gruppi scientifici indipendenti, che utilizzano tecnologie e tempistiche diverse, sono arrivati alle stesse conclusioni. Il crescente quantitativo di plastica nei mari è stato imputato da entrambi gli studi all’aumento della produzione di plastica che sta surclassando la capacità mondiale di stare al passo con lo smaltimento dei rifiuti. Concordano anche sul fatto che ridurre la crescita dei rifiuti significa frenare l’impennata della produzione di plastica vergine.
Entrambi i progetti sono anche arrivati alla conclusione che i rifiuti di plastica potrebbero essere significativamente ridotti – sebbene non del tutto eliminati – utilizzando tecnologie già esistenti. Il che comprende il miglioramento del processo di raccolta e riciclo dei rifiuti, la riprogettazione dei prodotti con l’obiettivo di eliminare gli imballaggi di plastica non riciclabile, una maggiore diffusione di contenitori riutilizzabili, e in alcuni casi la sostituzione con altri materiali. Ma le soluzioni come il riciclaggio – che oggi si aggira intorno al 12% a livello globale – richiederebbe anche un grande aumento di impianti di trasformazione che attualmente non esistono.