Con il termine “biosicurezza” si intende l’insieme di misure pianificate e messe in atto in un allevamento con lo scopo di prevenire l’introduzione di agenti patogeni trasmissibili nel gruppo di animali allevato (biosicurezza esterna), ed eventualmente di ridurne la circolazione intra-aziendale (biosicurezza interna).
L’importanza della biosicurezza negli allevamenti di animali destinati alla produzione di alimenti è progressivamente cresciuta nell’ultimo decennio in Europa, anche a seguito di eventi epidemici di rilevante impatto economico e/o di interesse per la salute pubblica, quali i focolai di influenza aviaria ad elevata patogenicità o di peste suina (peste suina classica e peste suina africana).
Le misure di biosicurezza, in particolare, dovrebbero evitare l’introduzione, oltre ai virus della mixomatosi e della malattia emorragica virale, almeno di salmonelle, di ceppi di S. aureus ad elevata patogenicità e di ceppi enteropatogeni di E. coli, tutti in grado di determinare rilevanti mortalità e riduzioni della produttività aziendale, e responsabili dell’applicazione di protocolli terapeutici intensivi ed onerosi, che, nei casi più gravi, possono costringere l’allevatore ad effettuare il depopolamento aziendale (il cosiddetto “vuoto sanitario”) e a rinnovare completamente il gruppo di riproduttori.
In molti casi, l’applicazione di misure di biosicurezza efficaci trova alcuni limiti nella realtà dell’allevamento cunicolo, rappresentati principalmente dalle seguenti caratteristiche:
• tipologia di allevamento a ciclo chiuso, che comporta presenza dei riproduttori in allevamento
• diffusa coesistenza, all’interno di un unico capannone privo di barriere fisiche, dei reparti maternità, svezzamento, ingrasso e delle rimonte, che comporta, in molti allevamenti, l’impossibilità di attuare radicali disinfezioni alla fine dei cicli di ingrasso
• elevata età media degli impianti produttivi e dei loro detentori I patogeni, virali o batterici, di interesse nell’allevamento cunicolo, possono entrare in azienda prevalentemente attraverso le seguenti modalità:
• introduzione di animali portatori sani da allevamenti esterni • ingresso di persone (veterinari, tecnici, rappresentanti, etc.) contaminate
• introduzione di attrezzature e materiali contaminati
• insetti e animali vettori
• trasmissione aerogena
La scelta di un antibiotico adatto alla terapia di un episodio patologico, richiede professionalità e capacità di fare sintesi di molteplici informazioni: caratteristiche farmacodinamiche e farmacocinetiche del principio attivo, le sue eventuali interazioni (sinergie e antagonismi) o tossicità, capacità di interpretazione di test di laboratorio, oltre alle conoscenze di clinica, patologia e microbiologia veterinarie. La scelta del principio attivo, inoltre, dovrà tener conto della sua importanza dal punto di vista della salute pubblica, al fine di limitare l’utilizzo dei principi attivi di elevata rilevanza per la terapia umana per minimizzare l’insorgenza di resistenze batteriche e preservarne il più possibile l’efficacia.
Antimicrobici di prima scelta. Possono essere prescritti a seguito di diagnosi clinica da parte del veterinario. E’ comunque opportuno far ricorso al laboratorio per la conferma del sospetto diagnostico in modo da consentire una terapia più accurata. Gli antibiotici di prima scelta possono essere usati a scopo metafilattico unicamente quando il rischio di diffusione dell’infezione è elevato e non sono disponibili alternative adeguate. L’utilizzo a scopo profilattico dev’essere limitato a casi eccezionali adeguatamente giustificati da parte del veterinario prescrittore.
Antimicrobici di seconda scelta. Da utilizzare a seguito di diagnosi e test di laboratorio che dimostrano che il microrganismo responsabile dell’episodio patologico è resistente ai principi attivi di prima scelta, oppure dopo che un intervento terapeutico con principio attivo di prima scelta non ha avuto successo terapeutico. Gli antibiotici di seconda scelta possono essere utilizzati a scopo metafilattico unicamente quando il rischio di diffusione dell’infezione è elevato e non sono disponibili alternative adeguate. L’utilizzo a scopo di profilassi dev’essere limitato a casi eccezionali adeguatamente giustificati da parte del veterinario prescrittore.
Antimicrobici di terza scelta. Da utilizzare a seguito di diagnosi e test di laboratorio che dimostrano che il microrganismo responsabile dell’episodio patologico è resistente ai principio attivo di prima e seconda scelta, oppure dopo che un intervento terapeutico con principio attivo di prima o seconda scelta non ha avuto successo. Per questa tipologia di antibiotici l’utilizzo per via orale, in acqua o nel mangime, dovrebbe essere limitato all’uso terapeutico nei confronti del gruppo di animali ammalati mentre l’utilizzo a scopo metafilattico è possibile unicamente quando il rischio di diffusione dell’infezione è elevato e non sono disponibili alternative adeguate. Gli antimicrobici di terza scelta non possono essere utilizzati a scopo di profilassi.