III^ puntata:
“Mensa scolastica o panino domestico?”
Saranno presumibilmente le Sezioni Unite a decidere se gli alunni potranno scegliere tra il pasto portato da casa (o confezionato autonomamente) e la refezione offerta dalla scuola.
Lo ritiene necessario la prima sezione civile della Corte di Cassazione che, nell’ordinanza interlocutoria n. 6972/2019 ha rimesso gli atti al Primo Presidente che dovrà assegnare la decisione alle Sezione Unite. Quindi sarà la Cassazione a Sezione Unite, che rappresenta il vertice più autorevole di tutto il nostro ordinamento giuridico, a pronunciarsi su questo spinoso problema che coinvolge un ampio numero di famiglie dislocate su tutto il territorio nazionale.
La questione riguarda direttamente i precetti contenuti nella nostra Carta Costituzionale, in particolare il combinato disposto degli artt.2 e 34: il diritto alla libertà della scelta alimentare nell’ambito scolastico non può essere compresso e/o leso dall’autonomia organizzativa di ciascuna organizzazione scolastica e questo diritto è stato riconosciuto essere espressione del diritto allo studio previsto dalla nostra Costituzione (art. 34 Cost.), che stabilisce la obbligatorietà e gratuità dell’istruzione inferiore per almeno otto anni.
Ciascun genitore ha la facoltà di scegliere per il proprio figlio iscritto al tempo pieno (modulo didattico delle 40 ore settimanali) tra la fruizione del servizio di refezione offerto a pagamento dal Comune e la consumazione a scuola durante l’orario del pranzo di un pasto preparato a casa. In tal senso ha statuito un’importante sentenza della Corte di Appello di Torino, risalente al mese di giugno 2016, condivisa anche in un’ordinanza dello stesso Tribunale di Torino (prot. nr. 22390 del 9/09/2016) adottata a definizione di una domanda giudiziale d’urgenza, inutilmente impugnata in fase di “reclamo al Collegio”, dal MIUR sul presupposto della non obbligatorietà del servizio di refezione scolastica anche nell’ambito del modulo didattico conosciuto come “tempo pieno”, stante la possibilità dei genitori di far uscire previa autorizzazione i rispettivi figli per la pausa pranzo e riaccompagnarli successivamente per la ripresa delle lezioni.
Il diritto allo studio non può essere condizionato dalla fruizione di un servizio a pagamento, come quello di mensa e la scelta del “tempo pieno” non può essere subordinata all’adesione al servizio di refezione.
Dunque accanto alla possibilità per l’alunno di uscire accompagnato all’ora di pranzo e rientrare per la ripresa pomeridiana delle lezioni, alcuni giudici hanno affermato il diritto dell’alunno a “tempo pieno”, che non aderisce al servizio di refezione comunale, di consumare a scuola un pasto domestico (Corte d’Appello di Torino, sentenza n. 1049 del 21 giugno 2016; Tribunale di Torino ordinanza n. 22390 del 9 settembre 2016).
Diverse le pronunce di merito che si sono susseguite a tal riguardo, la più recente quella del T.A.R. di Napoli di marzo 2018, poi confermata dalla pronuncia del Consiglio di Stato di settembre 2018, che ha annullato il regolamento del comune di Benevento sul servizio di ristorazione scolastica che rendeva il servizio obbligatorio per tutti gli alunni delle scuole materne ed elementari a tempo pieno, con il divieto per gli alunni di consumare pasti portati da casa durante l’orario scolastico, affermando che “non si può vietare agli alunni di consumare cibi diversi da quelli dell’impresa fornitrice del servizio mensa”. Di orientamento contrario, tra gli altri, il Tribunale ordinario di Napoli che, con ordinanza del 26 maggio 2017, ha ribadito l’importanza di contrapporre al “diritto alla libertà di scelta individuale del genitore altri diritti fondamentali della collettività, anch’essi di rango costituzionale, come il diritto all’uguaglianza e alla salute, alla partecipazione a una comunità sociale, quale appunto quella scolastica”.
Occorre mettere in evidenza un aspetto molto rilevante e cioè che la Corte d’Appello di Torino, pur ritenendo fondata la pretesa delle famiglie, si è tuttavia astenuta dal dettare “le modalità pratiche per dare concreta attuazione alla sentenza”, non potendo il suddetto diritto “risolversi nel consentire indiscriminatamente agli alunni di consumare il pasto domestico presso la mensa scolastica”. Una simile statuizione, ad avviso della Corte territoriale, implicherebbe “l’adozione di una serie di misure organizzative, anche in funzione degli aspetti igienico/sanitari, in relazione alla specifica situazione logistica dei singoli istituti interessati”, valutazioni discrezionali riservate all’amministrazione ed esulanti dalla cognizione del giudice ordinario. Invero, nello specifico la ditta privata appaltatrice del servizio di refezione comunale-scolastica rimane comunque tenuta al rispetto di fonti normative come quelle contenute nel capitolato di gara d’appalto e nelle polizze assicurative stipulate, normative che vincolano questo soggetto solo nei confronti dell’utenza costituita dai fruitori del servizio mensa e non applicabile agli alunni del “tempo pieno” non aderenti, che quindi rimangono “terzi” rispetto al rapporto contrattuale.
La libertà di portare il pasto da casa o il pasto “speciale” come per i celiaci o dettati da scelte religiose, pone dei problemi di sicurezza igienico-samitaria. Attraverso la nota n. 348 del 3 marzo 2017, il MIUR ha fornito indicazioni in merito alla “Consumazione del pasto domestico a scuola” e, rimettendo alle istituzioni scolastiche la valutazione, nei limiti della propria autonomia, discrezionalità e competenza, delle “soluzioni idonee a garantire la fruizione del cd. pasto domestico e l’erogazione del servizio mensa assicurando la tutela delle condizioni igienico-sanitarie e il diritto alla salute”, ha confermato, che, a prescindere dalle modalità pratiche di attuazione, il pasto domestico deve essere quindi garantito e per l’effetto non può essere negato. La nota precisa che da giugno 2016, a seguito di “alcune pronunce giurisprudenziali”, è stato riconosciuto alle famiglie “il diritto di usufruire in modo parziale del tempo attraverso la consumazione, negli stessi locali destinati alla refezione scolastica del pasto preparato in ambito domestico in alternativa al servizio mensa erogato dalla scuola”. Si evidenzia che sia la Sentenza n. 1049/2016 della Corte di Appello di Torino che alcune successive ordinanze cautelari hanno riconosciuto il diritto, degli istanti, di optare, per i propri figli, “tra la refezione scolastica e il pasto preparato a casa da consumare presso la scuola nell’orario destinato alla refezione” sul presupposto che il “tempo mensa” sia un momento educativo unico ed identico a prescindere da tale scelta, giacché non può implicare l’adesione obbligatoria ad un servizio a pagamento. Pertanto chi consuma il pasto da casa o quello erogato dal servizio, lo fa utilizzando lo stesso tempo mensa.
Tra le indicazioni che vengono fornite al fine di evitare situazioni di criticità, c’è quella di attivare procedure idonee ad evitare possibilità di scambio di alimenti e conseguenti contaminazioni, adottando nei confronti degli studenti ammessi al pasto domestico precauzioni analoghe a quelle previste nell’ipotesi di somministrazione dei cd. pasti speciali, anche chiedendo il supporto del Servizio di Igiene degli Alimenti e della Nutrizione presso l’Asl territoriale.
In conclusione, la mensa non è un luogo dove ognuno mangia per sé, al contrario è un momento educativo, in cui attraverso il cibo si trasmettono importanti valori tra cui l’integrazione, la socializzazione, la prevenzione e l’educazione alimentare. È il momento in cui tutti i bambini devono insieme, nessuno escluso, poter accedere ad un pasto sano, caldo e di qualità.