Al termine di due settimane di negoziati, la Presidenza della COP28 è riuscita a far adottare a tutti i Paesi ONU la decisione-chiave del 2023, ossia i risultati del primo inventario delle politiche sul clima sotto l’Accordo di Parigi di 2015 (chiamato Global Stocktake), includendo per la prima volta un paragrafo sull’accelerazione, entro il 2030, dei lavori verso l’uscita (di tutti i Paesi) dai combustibili fossili verso un net zero globale al 2050.
Sicuramente non ambizioso quanto vorremmo dal punto di vista della corrispondenza tra scienza e politiche – iniziare a pianificare l’uscita dalle fonti fossili e la riduzione delle proprie emissioni oggi pone molti Paesi già in grande ritardo – ma significativo. Dopo anni di discussioni, culminate a Glasgow due anni fa sull’uscita dal solo carbone e risultate in un nulla di fatto, sulle discusse diciture Phase-out (uscita netta) e Phase-down (uscita graduale o solo riduzione), a Dubai si è finalmente usciti dal recinto mentale a due opzioni e la Presidenza, pare su spinta europea, ha portato i delegati al compromesso con una nuova formula: Transitioning away. Ma che cosa significa? Cosa è previsto dal testo?
Al termine della Conferenza, il Commissario Europeo per il clima Hoekstra ha dichiarato che da un punto di vista pratico non vi è differenza tra dire, in inglese, phase-out e transition away (da qualcosa) e che pertanto la delegazione comunitaria poteva dirsi molto soddisfatta del risultato. Il testo è in realtà più debole dei proclami. In primis, la decisione non usa per i Paesi verbi impositivi, imperativi, quali per esempio shall (i Paesi devono), apparso in una precedente bozza. Non usa più neanche il più debole, negozialmente, should (i Paesi dovrebbero). Anche in questo caso, per uscire dall’impasse è stata scelta la formula più debole nel mondo dei trattati internazionali: la COP calls i Paesi, li chiama a (fare qualcosa). Una concessione forte a chi voleva un testo meno ambizioso, da leggere tuttavia come parte del compromesso più ampio. Quindi, lecito chiedersi: ma allora questo transitioning away non è obbligatorio?
Di sicuro da COP28 usciamo con l’impostazione delle politiche sul clima dei prossimi anni: a Mosca come a Teheran, a Washington come a Pechino, i Governi dovranno preparare i prossimi piani sul clima attesi per la primavera 2025 basandosi non solo genericamente sulla decisione del Global Stocktake, ma portando specificamente piani che rispecchino quella necessaria “accelerazione” nelle politiche per uscire dalle fonti fossili, tutte.
Ma proprio tutte, anche il gas? Domanda lecita, visto che poco sotto nel testo si parla comunque di un processo che sarà accompagnato nei prossimi anni da “carburanti di transizione”. Da italiani siamo orientati quasi istintivamente a pensare al gas naturale, visto il nostro dibattito politico domestico. Sempre in termini di diritto internazionale conviene tuttavia sottolineare che questa dicitura nella decisione del 2023 non risulta collegata ad altri articoli, paragrafi, decisioni minori nei quali si spieghi con chiarezza di quali combustibili si tratti, se non un riferimento alle fonti di energia a basse emissioni (in cui entra per la prima volta in una COP il nucleare), nel quale comunque non viene citato il gas: in sostanza, il testo non dà una definizione, quindi ogni Paese potrà interpretare come meglio riterrà lo specifico paragrafo, in ogni caso nel solco giuridico di quel transitioning away dalle fonti fossili, categoria della quale il gas naturale fa parte a pieno titolo. Quindi in sintesi potremmo rispondere che sì, certo, il testo parla anche di sforzi accelerati entro il 2030 verso l’allontanamento dal gas. Il combustibile fossile più difficile da sradicare dal sistema economico globale sembra rimanere, incredibilmente, il carbone, sul quale ci siamo trovati davanti un testo finale fermo, nelle diciture e nei fatti, al mezzo flop della COP di Glasgow di due anni fa. Si ripete infatti che i Paesi del mondo dovranno impegnarsi in una riduzione (phase-down) del carbone usato per la produzione di energia non compensato da assorbimenti di CO2 tramite tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio.
Negli ultimi 150 anni gli Stati Uniti d’America hanno emesso da soli un quarto delle emissioni di CO2 e metano che, ancora sopra la nostra testa, causano il problema del riscaldamento globale. Solo negli ultimi vent’anni la Cina ha raggiunto e superato gli Stati Uniti in termini di emissioni complessive annuali. Nell’altra storica decisione di questa COP28, arrivata il primo giorno, è stato reso operativo il nuovo Fondo globale per perdite e danni subiti dai Paesi più vulnerabili ai cambiamenti climatici e gli Stati Uniti hanno promesso solo 17,5 milioni di dollari, a fronte di disponibilità ben più generose di Italia, Germania, Francia, Emirati Arabi Uniti (100 milioni ciascuno) cui tuttavia non sono imputabili neanche la metà delle responsabilità storiche di Washington. Insomma, la transizione ecologica accelerata richiesta oggi per rimanere negli obiettivi di Parigi del 2015 costa molto, ma la finanza stenta ad arrivare nonostante inattesi passi avanti della politica, come quest’anno.
La prossima COP di Baku, a novembre 2024, sarà da calendario proprio la COP dei nuovi obiettivi sulla finanza globale per il clima e non possiamo che alzare già da ora al massimo il livello di attenzione, perché intanto le temperature corrono veloci, più della politica.